Dante, prendiamolo in parola

Questo il titolo dell’interessante conferenza tenuta il 19 maggio dalla professoressa Carla Lattanzi nell’aula magna dell’Istituto Tecnico “Bramante – Genga”. L’iniziativa rientra fra le proposte della rassegna La cultura apre tutte le porte, che si concluderà giovedì 26 Maggio con una proposta in ambito artistico: “L’abate Vincenzo Giordani e la sua quadreria”, che sarà presentata dalla professoressa Bruna Casiere.

Carla Lattanzi ha affrontato il tema della contemporaneità della lingua di Dante, che riecheggia con inaspettata frequenza nell’italiano attuale. Numerosi linguisti hanno esaminato il contributo che il poeta fiorentino ha dato alla nostra lingua, della quale è stato sicuramente “faber” e creatore, in quanto ha saputo plasmare un idioma giovane, impreciso, incompleto qual era il volgare fiorentino trovando soluzioni inedite, capaci di rispondere ad argomenti diversissimi: da quelli più corposi e materiali dell’Inferno a quelli più raffinati e spirituali del Paradiso.

Nella nostra lingua attuale troviamo infatti parole dantesche “con continuità perfetta”, ovvero che hanno mantenuto nell’uso il loro significato originario (ad esempio casa, casata, magro, dolore), parole con continuità parziale (Affetto, Amore, Famiglia ) e “parole stravolte”, la cui area semantica è stata modificata dall’uso popolare che ne ha alterato, e a volte banalizzato, il significato originale. E’ noto infatti che la Commedia, fin dal ‘300, ha assunto le vesti di una sorta di “libro santo della nazione”, citato da tutti e spesso a sproposito o male. Un uso stravolto è ad esempio quello del riferimento ai versi del canto I dell'Inferno, in cui Dante si rivolge a Virgilio che è giunto in suo aiuto e, riferendosi alla terribile lupa che tanto lo spaventa, dice al maestro:

“Vedi la bestia per cu'io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi”.

Polsi significa in questo passo 'arterie' perché deriva da pulsum, participio passato del verbo latino pello, che significa 'batto', e non letteralmente “polsi”. Oppure l’espressione, oggi scherzosa, “stiamo freschi” che è un inconsapevole riferimento all'espressione “là dove i peccatori stanno freschi” (Dante, Inferno XXXII, 117) riferita ai traditori dei parenti e della patria, condannati a stare conficcati nel lago ghiacciato di Cocito. Altro esempio è il Belpaese, termine che oggi viene usato spesso con accezione critica o addirittura sarcastica, mentre nella Commedia aveva un significato diverso: con il verso «Le genti del bel paese là dove ’l sì suona», (Inf. XXXIII, vv. 79-80) Dante si riferiva agli italiani, in un’epoca in cui l’Italia era ancora un concetto di là da venire, ma la lingua era considerata un punto di riferimento e il sì il primo nucleo di un’identità comune alle diverse «genti del paese».

La relatrice, nella sua ricca e piacevole esposizione, ha fatto ampi riferimenti anche alle tante parole assenti, parole che nella Commedia non appaiono ma di uso comune nell’epoca di Dante (quali quelle riferibili all’insieme “stoviglie” o a quello dell’abbigliamento, delle piante commestibili, dei mestieri e professioni già diffusi nella sua epoca) o altre che al contrario ancora non esistevano (come bambino/a).

Il pluristilismo di Dante non finisce mai di sorprenderci e di dialogare in modo fertile con l’attualità, dimostrandosi assolutamente fresco, plastico, idoneo anche a raccontare la complessità del mondo attuale, tanto che con frequenza prendiamo le sue parole, citiamo i suoi versi e passeggiamo attraverso sette secoli con naturalezza, come si fa con un vecchio amico che conosciamo da sempre e con il quale ci possiamo permettere una confidenza di linguaggio serena e scherzosa.

Patrizia Lucangeli