Giornata della Memoria: Sapienza e Poesia

“Sapienza” e “Poesia” hanno spazio nella disumanità della guerra e del razzismo?

Nell’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz, al tavolo di discussione organizzato dall’Amministrazione comunale per commemorare la Giornata della Memoria, gli studenti del Bramante Genga e del Mamiani con lo storico Marco Labbate, vicedirettore dell’ISCOP di Pesaro, hanno affrontato una sfida ardua e intrigante: hanno dibattuto questo problema etico che la Shoah ci ha lasciato in eredità e che ci induce ad interrogarci, oltre che sul passato, anche sul nostro presente e sul futuro.

Gli studenti nella ricerca della via per la “Sapienza” sono partiti dalla Leggenda dei 36 Giusti, simbolo di umanità tra cielo e terra per la cultura ebraica. Storie come l’attentato che il tedesco Georg Elser, un escluso dalla società, progetta contro Hitler, o la dimensione dell’umano nei salvataggi dell’Haggada di Sarajevo da parte di direttori mussulmani del Museo, così come le giuste scelte di vita che generali nazisti o gente comune albanese, in nome del codice d’onore “Besa” (mantenere una promessa), hanno effettuato, o esempi di carità umana verso ebrei perseguitati che cittadini e frati di Mombaroccio, o il vescovo di Pesaro, o la comunità dei pescatori di Fano ci hanno lasciato, sono il segno di un’umanità ”di giusti” che ha percorso la strada della “Sapienza”, indipendentemente dal livello culturale di ciascuno.

Purtroppo però, la Shoah e i suoi orrori hanno mostrato anche come la “parola non detta” del filosofo nazista Heidegger al poeta di origini ebraiche Celan nel loro incontro, abbia prodotto la mancanza del riconoscimento di responsabilità. Abbia quindi permesso quella cesura abnorme tra il prima e il dopo; non abbia concesso alla poesia una ricerca profonda del sé, del senso della natura, del proprio esistere, di arginare insomma la disumanità di quel momento storico. E così l’antisemitismo che ha semplificato, censito le differenze, razzializzato un’appartenenza religiosa fino a farla diventare biologica; ha categorizzato, diviso, deportato perdendo pezzi di umanità. E’ dunque evidente, in questa relazione tra il poeta e il filosofo, come la cultura di cui il Nazismo si è alimentato, non è “Sapienza”, ma “rogo di libri” con cui cancellare gli assunti culturali dell’altro.

Oggi è dunque possibile avere “Sapienza”, fare “Poesia” di fronte a ciò che accade nel Mediterraneo, nei campi di concentramento in Libia, nelle guerre del nostro tempo o nella repressione delle donne in Iran? Con Primo Levi possiamo affermare: “Io credo che si possa fare poesia dopo Auschwitz, ma non si possa fare poesia, dimenticando Auschwitz”. Perché, come dice G. Nissim: Auschwitz non finisce mai, perché gli uomini continuano a riproporre nuovi genocidi. Eppure ogni volta che il male si ripresenta, nello stesso tempo nuovi uomini giusti hanno il coraggio di mettersi in gioco”. Di conseguenza chi si interroga su se stesso e sulla sua voglia di umanità, diventa parte di quella “social catena” della Ginestra di cui scriveva Leopardi, che rappresenta la rete del bene possibile.

Oggi, per i nostri alunni, “Poesia” è stato ascoltare le voci rotte dalla commozione dei figli e dei nipoti dei deportati nei lager che hanno condiviso le storie di cui portano il peso e la “Sapienza”.

Prof.ssa Maria Adele Mariotti