Parole di Giustizia
Nelle mattinate del 19 e 20 Ottobre 2023 presso l'aula magna dell'istituto i ragazzi di diverse classi del triennio hanno partecipato agli incontri organizzati nell’ambito del Festival "Parole di giustizia" organizzato dall’Università di Urbino, Facoltà di Giurisprudenza.
Il 19 ottobre le nostre classi quinte hanno incontrato il prof. Angelo Schillaci, professore di Diritto pubblico comparato presso l’Università la Sapienza di Roma, della facoltà di Giurisprudenza, e l’avvocato penalista dott. Jacopo Benevieri del Foro di Roma.
Il tema trattato è stato “Diritto e stereotipi” ed ha riscosso particolare interesse da parte degli studenti per il taglio pragmatico ed accattivante che è stato dato alla lezione dai relatori.
In particolare, il prof. Schillaci ha portato gli studenti a riflettere sul fatto che il diritto, nonostante usi come metodo l’astrattezza e la generalizzazione e sembri porsi fuori dalla vita pretendendo di classificarla e darle delle regole precise, debba invece sempre porsi in rapporto strettissimo con la vita stessa, analizzandola in tutte le sue molteplici sfumature e cogliendo le particolarità di ogni singolo caso. Il Diritto è qualcosa di immutabile e al di sopra di noi, questo è un luogo comune da smentire. Il diritto fa parte della nostra vita. Chi studia diritto è in grado di prendere posizione (Zagrebelski). Per poter prendere posizione bisogna però prima conoscere.
Infatti il giurista non deve mai procedere per semplificazioni e stereotipi, ma deve saper cogliere il fluire e le infinite varietà della realtà, perché lo stereotipo immobilizza senza nessuna possibilità di mutamento ed pertanto è incompatibile con il diritto stesso, che invece muta col tempo. Del resto, classificare le persone è molto rischioso, perché le isola in relazione ad un singolo aspetto della loro identità (identità sessuale, colore della pelle, religione ecc.), impedendo di coglierne invece la complessa essenza. Il diritto è un sistema di regole profondamente collegato al contesto storico e alla vita. Il lavoro del giurista deve poi tener conto dei danni che potrebbe portare il diritto, se si comportasse come se fosse slegato dalla vita (Rodotà).
La regola giuridica è generale e astratta, per garantire parità di trattamento e il diritto ha bisogno di classificazioni, ma queste possono essere molto rischiose e limitanti. In realtà l’uguaglianza deriva dal valorizzare le differenze. A tal proposito, il relatore ricorda la sentenza degli USA che ha giudicato contraria al principio di uguaglianza la prassi che prevede di considerare la razza come elemento di priorità per entrare all’Università. Se non consideriamo il contesto, è ovvio che questa prassi ci appare contraria al principio di uguaglianza, ma se teniamo conto del contesto degli USA in cui è radicata la subordinazione della razza nera, la prassi diviene garanzia di uguaglianza. La sentenza ha decontestualizzato l’argomento.
Poi si argomenta in relazione agli stereotipi riguardo alla violenza sessuale nei confronti delle donne, ricordando che fino a fine anni ‘90 la violenza sessuale era un reato contro la morale. Dopo la “sentenza dei jeans” del 1999 (in cui un giudice aveva considerato il fatto che la vittima indossasse i jeans, come prova che la ragazza fosse consenziente, perché difficili da sfilare senza consenso!), c’è stato un ampio dibattito pubblico e la violenza sessuale è diventata reato contro la persona. Non va dimenticato infatti il concetto di vittimizzazione secondaria: oltre a essere vittima del reato, in sede di giudizio le scelte della donna vengono spesso colpevolizzate, quindi questa si ritrova ad essere doppiamente vittima.
Ancora: nel 2021 una sentenza della Corte d’appello di Firenze aveva stemperato la gravità del reato di stupro, perché la vittima aveva uno stile di vita “movimentato”. Ciò attirò la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, legata allo stereotipo per cui la donna che ha un atteggiamento disinvolto verso la sessualità, è normale che possa essere oggetto di violenza (alias “se la va a cercare”). In questo modo, facendo riferimento alle abitudini di vita della vittima, si viola anche il suo diritto alla riservatezza. La vita privata non deve essere resa pubblica.
In merito agli stereotipi riguardo alla protezione dell’identità di genere si è ricordato come i trans siano persone che non si identificano nel genere loro attribuito alla nascita, e la legge 164/1982 sulla rettificazione dell’identità di genere, cioè cercare di ricondurre la situazione trans ad un binarismo, secondo una logica correttiva/terapeutica che ha alla base lo stereotipo secondo cui l’aspetto esteriore deve corrispondere al genere. Dal 2015 inoltre non è più obbligatorio l’intervento ai genitali per cambiare il genere: si riconosce che il processo di identificazione nasce molto prima di arrivare davanti ad un giudice. E dalla pratica alla legge: Carriera Alias, cioè la persona trans che non ha ancora ottenuto la rettificazione legalmente, può interagire nella comunità con il nome eletto, ad es. a scuola può farsi chiamare Maria, anche se nei documenti ufficiali comparirà ancora il nome Mario.
L’avvocato Benevieri ha poi preso la parola e apportato all’incontro la sua concreta esperienza forense, leggendo con grande enfasi ai ragazzi le domande faziose e maliziose che i giudici hanno rivolto ad una ragazza vittima di violenza sessuale e che non sono purtroppo tanto diverse da quelle poste alla pittrice Artemisia Gentileschi nel 1612, nel processo per stupro celebrato contro il suo maestro di pittura Agostino Tassi, che aveva abusato di lei. Segno, questo, che la nostra cultura è rimasta ancora ferma ai pregiudizi di quattro secoli fa, anche se le strutture giuridiche sono moderne.
Si parla anche di refusal skills e dell’idea che se una donna vuol dire NO, deve dire un NO deciso, mentre se è vaga, significherà Sì. Entra in gioco poi il concetto di freezing: incapacità di manifestare la propria volontà, perché si sta già pensando a ciò che succederà dopo e una persona si blocca. E torniamo alla sentenza dei jeans: se aveva i jeans, vuol dire che c’è stata collaborazione da parte della vittima. No, quello che c’è stato e un atteggiamento INERTE (freezing, appunto.)
In certi casi poi si fa riferimento a stereotipi opposti: a) la vera vittima nel racconto deve mostrare emotività; b) la vera vittima non si deve contraddire, il racconto deve essere coerente e lineare.
Comunque, lo stereotipo (stereos = forma e tipos = immutabile) è sempre espressione di un momento storico e della visone di un gruppo di potere. Nella nostra società molti stereotipi sono una visione maschilista. Nel diritto lo stereotipo impedisce di raccontare il fatto specifico, come un muro che filtra le informazioni. Lo stereotipo è infatti una forma immobile, un modello, e se il caso specifico non rientra in quel modello, allora non è credibile. L’aula è il luogo dove si ascolta, ma lo stereotipo impedisce l’ascolto. Ogni volta che si parla, si crea.
Il 20 ottobre le classi hanno ascoltato l’incontro condotto dal magistrato Giuseppe Battarino e dalla prof.ssa Chiara Gabrielli, docente di Diritto Processuale Penale presso l'università di Urbino, che hanno argomentato nella seconda giornata di Parole di giustizia il concetto di “Abuso del diritto penale dai tempi di Alessandro Manzoni a oggi”.
Paola Marcucci Pinoli introduce l’incontro ricordando come molte delle tematiche social esistevano già ai tempi di Manzoni, soprattutto le disuguaglianze. Cita poi Il giorno della civetta di Sciascia e parla della ricerca di un processo giusto, sempre, anche per chi non se lo può permettere.
Interessante, durante l'incipit della professoressa Gabrielli, l’affermazione che Manzoni nel suo I promessi Sposi potrebbe essere citato in giudizio per diffamazione della categoria forense, per la rappresentazione colorita che Manzoni ne dà, tramite il personaggio indimenticabile del dottor Azzeccagarbugli!
La parola passa al magistrato Battarino che comincia subito dicendo che noi tutti viviamo in un inganno, quando parliamo di diritto penale, soprattutto in merito al concetto di diritto penale minimo, e qui si collegherà a Kafka e a Manzoni, come mostrerà meglio in seguito nella sua dissertazione.
Ribadisce che diritto il penale minimo è un inganno, poiché esso dovrebbe essere garantito a tutti, anche a chi ha pochi mezzi a disposizione, prevedendo reati e pene in maniera razionale, cosa che non avviene, e infatti ci sono infatti molte disuguaglianze che non si riesce a sanare. Di certo non è utile affannarsi ad aumentare di volta in volta il peso della giurisprudenza, apportando sempre norme giuridiche nuove, come spesso fanno i politici per un'ansia di far vedere all'elettorato che anche loro stanno facendo "qualcosa", creando spesso norme specifiche per un singolo evento delittuoso. E purtroppo a volte la scelta dello strumento penale avviene in vista dei vantaggi elettorali, dice il penalista Ferrajoli.
Lo scienziato Fuchs nel 1978 diceva che tutti i sistemi si basano su un feedback molto semplice: se faccio la doccia, e l’acqua è troppo calda, abbasso la temperatura e ovviamente viceversa.
Un altro inganno odierno, continua, è quello di pensare che ogni forma di cosa che non va, debba essere sanzionata. Così come è chiaro che c’è una forbice molto ampia tra chi grida “Tutti in galera” e chi invece dice “Tanto in galera non ci va nessuno”! C’è disordine sociale e spesso i giovani sottovalutano i rischi delle loro azioni, finendo non di rado in carcere.
Un altro elemento che va considerato è che bisognerebbe smettere di far prevalere in maniera poco razionale le passioni, sia da parte degli addetti ai lavori che da parte della gente comune, perché si passa in maniera rapidissima dalla ferocia alla misericordia. Se c'è uno sconto di pena, magari per buona condotta, e uno che ha commesso un reato, esce per alcune ore per svolgere un lavoro, la gente si incattivisce e grida: “Come? E’ già fuori!? Buttate la chiave!” L’ansia del punire è forte e a volte perniciosa; quella di punire l’immigrazione clandestina ha per es. oggi fatto eliminare norme importanti al riguardo.
Altro concetto fondamentale su sui si sofferma il relatore è come ad oggi si incorra frequentemente nel rischio di stigmatizzare intere categorie (migranti, tossicodipendenti, tifosi di calcio ecc.). La categorizzazione è sempre pericolosissima. Manzoni era partito da Beccaria, (che però non era un buono: era un tecnico della conservazione sociale) e diceva: poche leggi, ma chiare, per punire al meglio i reati. E aveva ragione.
Battarino consiglia poi la lettura oltre che de I promessi Sposi, che porta sempre con sé, anche La storia della colonna infame e Il processo di Kafka. I libri, dice, sono moltiplicatori di identità. Manzoni diceva anche lui che bisogna stemperare le passioni sia nei cittadini che nei giudici. Nella sua opera molto forte è la voce popolare. Nell’assalto ai forni alla fine si invoca la Provvidenza. Il popolo vuole che qualcuno sia punito, ed arriva Ferrer. Bisogna però accertare le supposte colpe tramite il diritto penale. Tra l’altro in questo episodio c’è una sorta di influencer ante-litteram: uno che dice che è sicuro che il pane verrà avvelenato. E lo sa… per averlo sentito da una sorella di una cugina di una parente ecc. ecc.! Proprio come oggi, dove la dinamica social è che prendo una mia idea e la assolutizzo, e qualcuno o molti ci credono. Eco diceva, come noto, che mentre prima certi imbecilli farneticavano al bar con pochi ascoltatori, oggi questi sono liberi di sproloquiare con un pubblico molto più ampio. E l’opinione pubblica la fa da padrona. L’opinione pubblica pronta alla ferocia o alla misericordia di volta in volta, e sempre più spesso si passa oggi dall’una all’altra, o viceversa, in maniera rapidissima. La misericordia poi, la si perde in un attimo!
Ne Il processo di Kafka si parla di Josef K. prelevato una mattina da casa sua da due detentori della giustizia con l'accusa di aver commesso non si sa bene cose, e il protagonista del romanzo non solo verrà giudicato colpevole e condannato, ma non verrà mai a sapere il motivo dell'accusa e la conseguente condanna. Non si avrà mai insomma un processo regolare; questa storia incarna infatti l'anti-processo per eccellenza. Eppure, si pensa, se viene portato via, qualcosa avrà pur commesso. Pensa così la gente. E per Kafka non c’è assoluzione. Non ci sarà mai. Ma se c’è un processo, questo deve finire, se no la gente traballa psicologicamente. Deve vedere un colpevole e una punizione. Oggi, in questo senso, si sta esagerando. E tutti questi argomenti non sono così lontani dall’opera manzoniana. Certo non c’è una Provvidenza o un uomo per lei: c’è la collettività, che a volte è pericolosissima. Noi tutti abbiamo diritto ad avere un sistema penale adatto, e la procedura penale evita che qualcuno faccia giustizia privata, si faccia insomma giustizia da sé.
Infine interviene la prof. Gabrielli e ricorda che l’art. 27 della nostra Costituzione dichiara che il nostro Stato è contrario alla pena di morte. Eppure, molti italiani sono per la pena di morte. Allora, chiede la professoressa, c’era bisogno di scriverlo nella Costituzione? Sì, c’era bisogno, affinché un legislatore non arrivi a mutare la legge. Se considero che il 35% circa degli italiani è per il ripristino della pena di morte, un politico potrebbe pensare “Se la ripristino, mi guadagno il 35% dei voti”. Per fortuna non può farlo, perché la nostra è una Costituzione dai muri spessi.
Infine, il magistrato mostra brevi clip di alcune serie tv a carattere poliziesco – giudiziario italiane, dove ci sono errori grossolani sulla procedura penale. E la gente crede che sia tutto così. Che la Polizia si muova più con la forza che con l’intelligenza e dopo poco arriva la frase “Il caso è chiuso”, ma non è affatto tutto così semplice. Quindi bisogna stare attenti a cosa si veicola e a cosa si guarda. Law and order, conclude dopo una domanda, era una serie americana di diversi anni fa, invece perfetta, fatta davvero molto bene. Vale la pena di guardarla!