Preside facciamo qualcosa.

Senza punto interrogativo, non era una domanda. Non c’era neppure però l’enfasi perentoria del punto esclamativo, né tantomeno il dubbio dei puntini di sospensione.

Una voce giovanissima, un tono assertivo, due occhi belli e limpidi mai prima incontrati: Giorgia, sedici anni, esile, elegante nel suo cappottino scuro stretto in vita da una cintura, dai lunghi capelli scuri e una vita, la sua, a me sconosciuta fino a un attimo prima. Nel suo impeto disarmato ho però sentito il legame delle sorelle, delle madri e figlie, delle donne tra le cui dita scorre lo stesso eterno filo di Arianna. Quello che ci permette di addentrarci nel labirinto, che non ci fa sentire sole perché sentiamo che l’altro capo è in mani salde e fidate, che c’è qualcuno a cui siamo collegate e che insieme possiamo sfidare i mostri.

In meno di 48 ore abbiamo iniziato a tessere una trama, un disegno e una rete. Svantaggioso avere così poco tempo per organizzarsi, ma l’ostinazione di non arrenderci ci fa avanzare e proviamo ad organizzare un 25 novembre a scuola, un momento di riflessione, un incontro, un passaggio di emozioni e sguardi. Tu come ti senti, in questi giorni attraversati dal male e dalla paura? E cosa pensi? Cosa vorresti sentire dire e cosa invece che ti dicessero?

Si muovono a frotte disordinate le emozioni nella pancia, i pensieri ribollono e rimbalzano dalle testimonianze che arrivano dai social, dai commenti, dalle notizie dei media, dai racconti delle donne, dai vissuti propri e delle amiche. C’è la voglia di farli uscire entrambi, i pensieri e le emozioni che inciampano e sembrano confusi. Chiari e nitidi finché restano in testa, ma se provi a dirli, non escono le parole che vorresti, che ti servono, che potrebbero spiegare. E allora le cerchiamo nella poesia, perché Giorgia nel suo flusso incandescente mi ha dato la chiave, il passe-partout, la parola che squarcia il velo di Maya: l’attenzione.

Lei dice che le donne scivolano qui, spesso, sull’attenzione. Che lei stessa a volte vi ha inciampato ed inciampa, faticando a rimettersi eretta.

La fame di attenzione, di essere al centro, di essere osservata, riconosciuta, guardata, vista. Il bisogno di percepirsi al centro del punto di fuoco dello sguardo di chi amiamo, troppo spesso disattento e distratto, sfuggente, incapace di soffermarsi sulle pieghe e disponibile ad esserci solo per le superfici lisce e sgombre. E pur di averla, quella carezza di attenzione, ce la teniamo anche se ci fa un po’ male, ci lisciamo le grinze per non dar fastidio al suo passaggio, ci cancelliamo le ombre perché non vogliamo perdere quel raggio che a volte assomiglia alla luce.

A volte però, no. Guardiamo altrove, in quei casi, fingiamo che non ci ha fatto nulla. Che in amore è così che vanno le cose: nuvole che squarciano il sereno, ma poi passano, se non ti soffermi troppo a misurarle.

Abbiamo bisogno di attenzione anche per non perderci di vista, per restituire limpidezza allo sguardo con cui guardiamo a noi stesse, sempre più giudicante, impietoso, spietato. Frastornato e spiazzato da migliaia di immagini irraggiungibili, da quel mito di perfezione, implacabile dea della sconfitta interiore, del ripiegarsi nell’inadeguatezza e nello sconforto del non sentirsi mai abbastanza degne di partecipare al banchetto.

In questa fame vorace d’amore che ci inchioda, facciamo spazio a tavola alle piccinerie, alle meschinerie, alle prepotenze, agli egoismi, alle svalutazioni, alle ossessioni di possesso. Le scambiamo per il nutrimento di cui avevamo bisogno, per un confortevole dono per il cuore, per amore.

Questo voleva dire Giorgia. Questo a lei è arrivato in questi giorni, chiassoso e fumoso come un treno superveloce in corsa, ma trasportato forse da mesi e anni che più lentamente l’hanno portata a questo Venticinque Novembre del Ventitré. Tutto questo ha fatto un rumore così forte che lei ha sentito il bisogno di alleggerirne il peso, condividendolo con le sue compagne e i compagni di questi anni di vita e di scuola, con noi che percorriamo i suoi stessi corridoi ogni mattina e il caffè amaro delle stesse macchinette. Questo è arrivato fino a me, come un vento, come un filo da raccogliere a più mani.

Per tenere saldo quel filo tra lei, i suoi pensieri, le sue speranze e noi, io ed alcune colleghe abbiamo scelto di farci aiutare dalla Poesia. Perché la poesia sa fare attenzione, sa dare attenzione, sa trovare le parole per gli ingorghi, sa gettare luce nel buio, nel caos, nel mistero. Perché è una lingua universale che parla al cuore prima che alla mente, ma poi lì arriva e quasi sempre si ferma e un po’ rischiara. E così abbiamo aperto il nostro incontro con le studentesse, gli studenti e tutti i docenti con:

Se domani non torno, di Cristina Torre Caceres, poesia diventata virale in questi giorni dopo essere stata citata da Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, l’ultima giovanissima vittima di femminicidio nel 2023, ma già da anni poesia-slogan del movimento Ni Una Menos. Per noi è stata letta dalla professoressa Laura Corraducci, poetessa ed interprete delicatissima, che ha fatto vibrare ogni parola del testo; i ragazzi della Consulta hanno voluto accompagnarne la lettura con delle immagini sulla violenza di genere, ogni volta diversa ma ogni volta uguale, come nel caso della giovane messicana Mara Castilla, la studentessa messicana di 19 anni violentata e uccisa da un autista di un servizio di noleggio che doveva riportarla a casa sana e salva, dopo una festa, a cui la poesia è dedicata.

Cristina Torres Cáceres, Se domani non torno

Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.

Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare. Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero

Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia

Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata.

Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli.

Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata.

Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l'alcool nel sangue.

Ti diranno che era giusto, che ero da sola.

Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.

Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.

Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto. Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.

Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.

Ma, per carità, non legare mia sorella.

Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.

Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.

Sono loro, saranno sempre loro.

Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.

Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me. Combatti perché possano urlare più forte di me.

Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io. Mamma, non piangere le mie ceneri.

Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima.

Per chiudere la nostra ora insieme alle classi, presenti in aula magna o collegate via Meet, la professoressa Corraducci ci ha regalato anche la sua lettura di Ancora mi solleverò, di Maya Angelou.

Ancora mi solleverò, di MAYA ANGELOU, 1978.

Puoi svalutarmi nella storia

Con le tue amare, contorte bugie,

Puoi schiacciarmi a fondo nello sporco

Ma ancora, come la polvere, mi solleverò

La mia impertinenza ti infastidisce?

Perché sei così coperto di oscurità?

Perché io cammino come se avessi pozzi di petrolio

Che pompano nel mio soggiorno

Proprio come le lune e come i soli,

Con la certezza delle maree,

Proprio come le speranze che si librano alte,

Ancora mi solleverò

Volevi vedermi distrutta?

Testa china ed occhi bassi?

Spalle che cadono come lacrime,

Indebolita dai miei pianti di dolore.

La mia arroganza ti offende?

Non prenderla troppo male

Perché io rido come se avessi miniere d'oro

Scavate nel mio giardino

Puoi spararmi con le tue parole,

Puoi tagliarmi coi tuoi occhi,

Puoi uccidermi con il tuo odio,

Ma ancora, come l'aria, mi solleverò.

La mia sensualità ti disturba?

Ti giunge come una sorpresa

Che io balli come se avessi diamanti

Al congiungersi delle mie cosce?

Fuori dalle capanne della vergogna della storia

Io mi sollevo

In alto, da un passato che ha radici nel dolore

Io mi sollevo

Sono un oceano nero, agitato e vasto,

Sgorgando e crescendo genero nella marea.

Lasciando dietro notti di terrore e paura

Io mi sollevo

In un nuovo giorno che è meravigliosamente limpido

Io mi sollevo

Portando i doni che i miei antenati hanno dato,

Sono il sogno e la speranza dello schiavo.

Io mi sollevo

Io mi sollevo

Io mi sollevo.

Attiva nel movimento per i diritti civili, MAYA ANGELOU ha lavorato a fianco di Malcolm X e con Martin Luther King. Dopo essere stata violentata, a otto anni, dal convivente della madre che, scontato un solo giorno di prigione, fu ucciso per vendetta forse dagli zii, superò il trauma imparando a memoria e recitando opere letterarie e poesie, che l’aiutarono a uscire dal mutismo che nei cinque anni seguenti a quell’episodio si era auto-imposta.

Ad arricchire l’incontro, una presentazione dell’evento autenticamente sentita del prof. Francesco Sorbini, che ha portato i saluti della DS Cinzia Biagini, assente per motivi di salute ma che fin da quel “Preside, facciamo qualcosa” aveva raccolto il filo lanciato da Giorgia.

Con noi anche la professoressa Lucia Gasparini, che ha scelto di mettere l’accento sulla necessità di un’attenzione reale ed operativa per le richieste di aiuto e le denunce che partono dalle donne e che le forze dell’ordine troppo spesso sottovalutano se non addirittura ignorano, come è stato evidenziato per il caso di Giulia Cecchettin e palesato anche da un articolo del Corriere della sera che lei e due studenti hanno letto.

Ringraziamo infine Matthias e Hiba, i due studenti della Consulta, che realizzando in pochissime ore il video della poesia Se domani non torno ci hanno dato il loro appoggio e la loro disponibilità, sfidando il tempo per creare comunque qualcosa che desse il loro contributo a questa giornata che speriamo sia stata gradita e preziosa, come lo è stata per noi che l’abbiamo voluta.

Patrizia Lucangeli