Addomestichiamo la paura


Care studentesse e cari studenti, vi invito a leggere la dedica che il collega Domenico Squillace del Liceo Volta di Milano ha rivolto ai suoi alunni.

In questi giorni di grandi ansie collettive, di messaggi allarmanti, e di allarmate citazioni, ho pensato tanto a voi, ho letto nei vostri occhi e udito dalla vostra viva voce la delusione per non essere potuti partire per il viaggio di istruzione tanto atteso, ho condiviso con alcuni vostri genitori le preoccupazioni per questo difficile momento.

Anch’io, come altri miei colleghi, utilizzo l’incipit del dirigente Squillace per dirvi di approfittare di questi giorni per osservare con occhi belli chi è vicino a voi, per trovare tempo per dialogare con i vostri genitori, i vostri fratelli, per “chattare” con i vostri amici, affinché da ogni vostra parola nasca un prezioso incoraggiamento per l’altro. Approfittate di questi giorni per esprimere, attraverso il linguaggio che più vi appartiene, il vostro stato d’animo, i vostri pensieri e ciò che sentite. Mostrate la vostra profonda umanità.

Sappiate che mi mancano tantissimo le vostre voci nei corridoi della scuola, c’è un silenzio assordante in questi giorni!

E voi docenti cercate di mantenere con i vostri studenti un rapporto costante in queste giornate; il contatto con voi li farà sentire forti, sicuri, comunicherà loro quel senso di serenità che allontana le paure.

Un affettuoso pensiero ed un grazie di cuore alla DSGA e a tutto il personale ATA che ha condiviso con la sottoscritta le forti preoccupazioni di questi giorni e che ha lavorato ”sodo” per mettere in pratica le indicazioni pervenuteci dal Ministero della Sanità sulle misure da adottare per “sanificare” la scuola e prepararla per il vostro rientro.

E ora leggete le stupende parole della prof.ssa Lucangeli, dedicate a tutti voi.

A presto!

Il Dirigente Scolastico
Anna Gennari

Addomestichiamo la paura

Per il momento egli voleva fare come tutti coloro che avevano l’aria di credere, intorno a lui, che la peste può venire e andarsene senza che il cuore dell’uomo ne sia modificato”.

(Albert Camus, La peste)*

Con i casi di contagio e le prime vittime italiane anche nel nostro Paese è scoppiata la fobia del coronavirus.

Cittadine isolate, scuole chiuse, viaggi d'istruzione e gite scolastiche annullate, eventi sportivi cancellati o rimandati, protocolli d’emergenza. C’è un notevole livello di confusione, generata dalla limitata conoscenza che abbiamo del virus e da una buona dose di allarmismo quotidiano da parte dei media. L’emergenza coronavirus è divenuta l’argomento numero uno di cui parlare, un proliferare di informazioni in cui diviene impossibile a chi non abbia competenze specifiche distinguere ciò che esatto da ciò che è sbagliato. Decine di milioni di italiani sono esposti ad un profluvio di fatti, per i quali la competenza di cui dispone è assolutamente insufficiente. La copertura mediatica che è stata data alla vicenda è esagerata, ansiogena; alimenta una psicosi che è alla base di comportamenti incivili, come aggredire un cinese in strada o emettere ordinanze che vietano l’ingresso in località turistiche a tutti i residenti in Lombardia e Veneto. Sono ormai numerosi i casi di episodi di discriminazione nei confronti di chiunque incarni ai nostri occhi il rischio, l’appestato; che lo si chiami “paziente zero” o “untore”, alla fine fa poca differenza.

Infodemia, così è stata ribattezzata questa bulimia di informazioni delle quali ci ingozziamo provando a difenderci dalla paura. Proviamo invece a fare un po’ più di silenzio, ad ascoltare di più la comunità scientifica e meno quella dei comunicatori a caccia di scoop ad effetto sensazionalistico.

In questi giorni di lezioni sospese, per voi ragazzi e per noi adulti c’è comunque molto da apprendere. Potremmo tutti ricavare una lezione di vita, da questa brutta emergenza che il nostro Paese e la nostra città stanno vivendo.

- Ad esempio che  i muri o i reticolati non bastano più, se mai lo hanno fatto, a proteggerci: volenti o nolenti, siamo tutti dentro quel butterfly effect, che è un modo poetico con cui i teorici del caos ci hanno spiegato che “può bastare il battito d’ali di una farfalla in Brasile per provocare un uragano in Texas”. In un mondo globalizzato ed interconnesso la possibilità del contagio sanitario è una delle tante conseguenze del nostro essere così strettamente legati.

-Che la paura del contagio, con il suo contorno di comportamenti del tutto irrazionali, spesso fa più danni e vittime del contagio stesso, perché causa esclusione e discriminazione e c’è sempre qualcuno pronto a cavalcarle, le nostre paure, per sfruttarle a proprio vantaggio, che sia personale o politico.

-Che siamo un piccolo pianeta. Le emergenze e le crisi se ne infischiano dei confini. Si possono contrastare solo attraverso la cooperazione tra gli stati e tra i popoli.

-Che reagire alla paura non significa non rispettare le norme anti contagio attivate dalle autorità; al contrario, esse vanno scrupolosamente rispettate, ma si può comunque attivare una rete di solidarietà e sostegno con le persone sole, o anziane, o malate o in quarantena. I social, soprattutto, ci consentono di annullare le distanze, dove la vicinanza fisica è scoraggiata.

 -Che la paura è un’emozione benefica, ci serve per metterci in salvo dai rischi. Il Global risk report 2020 del World economic forum, pubblicato pochi giorni fa, sostiene che tra i dieci rischi globali più probabili, i primi cinque sono di ordine ambientale. Le epidemie globali sono contemplate, ma con probabilità e impatti minori. L’apocalisse lasciamola quindi ai film catastrofici e facciamo in modo che la paura ci orienti verso soluzioni razionali e praticabili.

-Che abbiamo in tasca un’arma potentissima, un talismano, uno scettro contro la paura: la resilienza. Essa ci permette di resistere alle negatività, di non subirle passivamente. Soprattutto nei momenti di crisi occorre ricordarsi che la vita è bella. A Sarajevo sotto le bombe si andava a teatro, non era incoscienza o sfida del pericolo, era l’affermazione della superiorità della vita e della bellezza.

 

*La citazione è tratta da La peste, di Albert Camus, uno dei capolavori della letteratura moderna. Uscito nel 1947,il romanzo  racconta di una pestilenza che colpisce Orano, in Algeria, e di un medico, il dottor Rieux, che lotta per salvare i malati e difendere la dignità umana. E’ una critica al male del mondo, sotto qualsiasi forma esso si presenti, e un'ode a tutti coloro che cercano di combatterlo ogni giorno.

 

Patrizia Lucangeli